In Ucraina non cessano i bombardamenti, donne e bambini cercano di scappare dalle proprie abitazioni, dalla propria vita per trovare riparo altrove. All’aeroporto di Catania sono arrivati i primi profughi. La prima accoglienza fuori dal loro paese è importante. Sono persone impaurite e non hanno alcuna certezza del futuro. Col telefonino in mano e il terrore negli occhi devono andare avanti e lo devono fare soprattutto per i loro bambini, per dare un futuro più stabile ai figli che hanno tratto in salvo dalla guerra che sta devastando il loro paese.
A Roma verrà istituita presso la Pontificia Università Lateranense la Cattedra dell’accoglienza. Il popolo italiano è un popolo dell’accoglienza e le conoscenze vengono sviluppate in modo scientifico per permettere a tutti di accogliere il prossimo nel miglior modo possibile. Abbiamo intervistato Padre Mario Sirica, missionario vincenziano e direttore della “Locanda del Samaritano” di Catania, che offre accoglienza anche ai profughi provenienti dall’Ucraina.
Come avete accolto i primi profughi alla Locanda del Samaritano?
“Dopo una lunga preghiera mi sono chiesto cosa potessimo fare noi come comunità dei padri vincenziani, come Chiesa, come comunità civile catanese per i fratelli provenienti dall’Ucraina…abbiamo messo a disposizione un appartamento di duecento metri quadrati dato in comodato d’uso dall’Ingegnere Grassi in memoria del padre e riservato a nuclei familiari. Poi abbiamo messo a disposizione una parte del nostro dormitorio femminile, circa sei posti letto, riservato solo alle donne ucraine. L’appartamento è composto da più stanze dove possono essere accolti mamme con più bambini e ogni stanza ha il proprio bagno. Inoltre, vorrei adibire una stanza a sala giochi restando il fatto che le accoglienze siano a lungo termine, come effettivamente ci aspettavamo. Le donne che vengono accolte, invece, si fermano solamente una notte, anzi è capitato che due donne non siano nemmeno volute entrare nonostante fossero accompagnate dalla Croce Rossa, perché spaventate dagli uomini presenti nella struttura…supponiamo abbiano avuto una disavventura, quindi, non le abbiamo potute nemmeno accogliere. Nei loro occhi c’era tanta paura. Ritrovarsi sballottolati a migliaia di chilometri lontani da casa propria e trovarsi in una comunità con uomini, penso, possa spaventare un po’ tutti”.
Come viene organizzata l’accoglienza?
“Arrivati all’aeroporto, i diversi nuclei familiari vengono intercettati dalla Polizia di Stato, che chiama la Croce Rossa che fa, innanzitutto, un tampone; successivamente poi li accompagnano nella nostra struttura. Se sono donne sole le invitiamo a stare al dormitorio; se ci sono dei bambini li portiamo in via Righi, nell’appartamento messo a disposizione dall’ing. Grassi. Attualmente, l’accoglienza è limitata a un solo giorno. Molte persone che vengono in Sicilia hanno già delle mete stabilite, magari hanno dei parenti anche fuori dal territorio siciliano. La Sicilia insomma è uno scalo di passaggio. Attualmente non abbiamo richieste di più giorni, abbiamo questo genere di richieste…”.
Oltre al terrore nei loro occhi, lei come vede queste donne?
“Sono donne fortemente impaurite, ma anche disorientate, preoccupate. Col fisico sono qui, da noi, con la mente sono a casa loro: pensano ai loro mariti, pensano a questi bambini. Bambini che non sono solari; sono spenti e questo significa che, anche loro, vivono la tragedia della guerra. Io immagino, quindi, queste madri che guardano i propri figli, pensano al futuro, pensano a quando e come potrebbero rivedere i mariti e la propria casa e questo le porta a essere molto assenti. Ripeto, presenti fisicamente, ma assenti mentalmente. Hanno sempre in mano il cellulare…sia per tradurre la loro lingua nella nostra, quindi per capire e farsi capire, che per avere contatti e informazioni sui parenti rimasti in Ucraina”.
Non è semplice accogliere queste persone, soprattutto perché maltrattate psicologicamente…
“Assolutamente no…anche perché c’è il limite della lingua, che diventa un ostacolo. Il limite della lingua è sopperito dallo sguardo, dagli occhi, dalle mani…a volte, anche solo guardarli negli occhi, il modo di porre semplicemente un piatto di pasta: i gesti fanno sentire queste persone amate, accolte. Questo è importante…”
Avete bisogno di qualcosa come comunità?
“No, fortunatamente ci sono molte persone che ci aiutano. In questo momento se facessimo un appello mi ritroverei con migliaia di cose di cui non saprei cosa fare, perché l’accoglienza in questo caso è a breve termine. Si tratta di un giorno e poi ripartono. Prima di lanciare un appello vorrei capire, in realtà, se in futuro queste donne e questi bambini si fermeranno per più giorni. Per il momento sono in grado di sopperire ai bisogni di queste donne che si fermano solo una notte…Questa guerra mostra il lato terribile dell’uomo assetato di potere che per poter raggiungere i suoi scopi è capace di schiacciare l’altro. Questa situazione di guerra mostra, ancora una volta però, come il bene sia più forte del male, perché il male è fatto da una persona, da due, da tre, da una gruppo limitato di persone…ma la risposta a questa situazione è fortissima. Io ricevo tantissime telefonate da persone che mi mettono a disposizione appartamenti, che mi chiedono di accogliere nelle proprie case bambini, che mi chiedono se ho bisogno di soldi e indumenti. Davanti a tanto male c’è sempre una risposta del bene che è sempre più forte e ci si augura che questa risposta si concretizzi nelle scelte di tutti i giorni delle persone semplici, ma anche che si converta in scelte di pace da parte dei potenti. Il movimento che si sta creando è qualcosa di incredibile, quindi preghiamo per la pace e per tutti quei conflitti che sono ancora in corso e si possa vivere nella fraternità. Il mondo ci ha globalizzati, ci ha avvicinati, ma ancora non ci ha reso fratelli…”.
FONTE: SICAPRESS.IT
Leave a Comment
Last Updated: Marzo 15, 2022 by wp_8582130
Padre Mario: “Le donne ucraine? Presenti ma non ci sono con la testa”
In Ucraina non cessano i bombardamenti, donne e bambini cercano di scappare dalle proprie abitazioni, dalla propria vita per trovare riparo altrove. All’aeroporto di Catania sono arrivati i primi profughi. La prima accoglienza fuori dal loro paese è importante. Sono persone impaurite e non hanno alcuna certezza del futuro. Col telefonino in mano e il terrore negli occhi devono andare avanti e lo devono fare soprattutto per i loro bambini, per dare un futuro più stabile ai figli che hanno tratto in salvo dalla guerra che sta devastando il loro paese.
A Roma verrà istituita presso la Pontificia Università Lateranense la Cattedra dell’accoglienza. Il popolo italiano è un popolo dell’accoglienza e le conoscenze vengono sviluppate in modo scientifico per permettere a tutti di accogliere il prossimo nel miglior modo possibile. Abbiamo intervistato Padre Mario Sirica, missionario vincenziano e direttore della “Locanda del Samaritano” di Catania, che offre accoglienza anche ai profughi provenienti dall’Ucraina.
Come avete accolto i primi profughi alla Locanda del Samaritano?
“Dopo una lunga preghiera mi sono chiesto cosa potessimo fare noi come comunità dei padri vincenziani, come Chiesa, come comunità civile catanese per i fratelli provenienti dall’Ucraina…abbiamo messo a disposizione un appartamento di duecento metri quadrati dato in comodato d’uso dall’Ingegnere Grassi in memoria del padre e riservato a nuclei familiari. Poi abbiamo messo a disposizione una parte del nostro dormitorio femminile, circa sei posti letto, riservato solo alle donne ucraine. L’appartamento è composto da più stanze dove possono essere accolti mamme con più bambini e ogni stanza ha il proprio bagno. Inoltre, vorrei adibire una stanza a sala giochi restando il fatto che le accoglienze siano a lungo termine, come effettivamente ci aspettavamo. Le donne che vengono accolte, invece, si fermano solamente una notte, anzi è capitato che due donne non siano nemmeno volute entrare nonostante fossero accompagnate dalla Croce Rossa, perché spaventate dagli uomini presenti nella struttura…supponiamo abbiano avuto una disavventura, quindi, non le abbiamo potute nemmeno accogliere. Nei loro occhi c’era tanta paura. Ritrovarsi sballottolati a migliaia di chilometri lontani da casa propria e trovarsi in una comunità con uomini, penso, possa spaventare un po’ tutti”.
Come viene organizzata l’accoglienza?
“Arrivati all’aeroporto, i diversi nuclei familiari vengono intercettati dalla Polizia di Stato, che chiama la Croce Rossa che fa, innanzitutto, un tampone; successivamente poi li accompagnano nella nostra struttura. Se sono donne sole le invitiamo a stare al dormitorio; se ci sono dei bambini li portiamo in via Righi, nell’appartamento messo a disposizione dall’ing. Grassi. Attualmente, l’accoglienza è limitata a un solo giorno. Molte persone che vengono in Sicilia hanno già delle mete stabilite, magari hanno dei parenti anche fuori dal territorio siciliano. La Sicilia insomma è uno scalo di passaggio. Attualmente non abbiamo richieste di più giorni, abbiamo questo genere di richieste…”.
Oltre al terrore nei loro occhi, lei come vede queste donne?
“Sono donne fortemente impaurite, ma anche disorientate, preoccupate. Col fisico sono qui, da noi, con la mente sono a casa loro: pensano ai loro mariti, pensano a questi bambini. Bambini che non sono solari; sono spenti e questo significa che, anche loro, vivono la tragedia della guerra. Io immagino, quindi, queste madri che guardano i propri figli, pensano al futuro, pensano a quando e come potrebbero rivedere i mariti e la propria casa e questo le porta a essere molto assenti. Ripeto, presenti fisicamente, ma assenti mentalmente. Hanno sempre in mano il cellulare…sia per tradurre la loro lingua nella nostra, quindi per capire e farsi capire, che per avere contatti e informazioni sui parenti rimasti in Ucraina”.
Non è semplice accogliere queste persone, soprattutto perché maltrattate psicologicamente…
“Assolutamente no…anche perché c’è il limite della lingua, che diventa un ostacolo. Il limite della lingua è sopperito dallo sguardo, dagli occhi, dalle mani…a volte, anche solo guardarli negli occhi, il modo di porre semplicemente un piatto di pasta: i gesti fanno sentire queste persone amate, accolte. Questo è importante…”
Avete bisogno di qualcosa come comunità?
“No, fortunatamente ci sono molte persone che ci aiutano. In questo momento se facessimo un appello mi ritroverei con migliaia di cose di cui non saprei cosa fare, perché l’accoglienza in questo caso è a breve termine. Si tratta di un giorno e poi ripartono. Prima di lanciare un appello vorrei capire, in realtà, se in futuro queste donne e questi bambini si fermeranno per più giorni. Per il momento sono in grado di sopperire ai bisogni di queste donne che si fermano solo una notte…Questa guerra mostra il lato terribile dell’uomo assetato di potere che per poter raggiungere i suoi scopi è capace di schiacciare l’altro. Questa situazione di guerra mostra, ancora una volta però, come il bene sia più forte del male, perché il male è fatto da una persona, da due, da tre, da una gruppo limitato di persone…ma la risposta a questa situazione è fortissima. Io ricevo tantissime telefonate da persone che mi mettono a disposizione appartamenti, che mi chiedono di accogliere nelle proprie case bambini, che mi chiedono se ho bisogno di soldi e indumenti. Davanti a tanto male c’è sempre una risposta del bene che è sempre più forte e ci si augura che questa risposta si concretizzi nelle scelte di tutti i giorni delle persone semplici, ma anche che si converta in scelte di pace da parte dei potenti. Il movimento che si sta creando è qualcosa di incredibile, quindi preghiamo per la pace e per tutti quei conflitti che sono ancora in corso e si possa vivere nella fraternità. Il mondo ci ha globalizzati, ci ha avvicinati, ma ancora non ci ha reso fratelli…”.
FONTE: SICAPRESS.IT
Category: News
Articoli recenti
Archivi